Newsletter Futura - La gioventù, in un'immagine | Corriere.it

2022-10-16 03:14:50 By : Mr. Kevin Zhang

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brillantina Per sempre insieme, OliviaGuido Hauser

polvere di passato A cosa serve una vecchia fotoAlfredo Accatino

«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, di essercela tanto presa per così poco, e anch'io ho creduto fatale quanto si è poi rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi?». Questo è il famosissimo incipit di Seminario sulla gioventù , di Aldo Busi. E, in poche frasi, riassume tutto il senso dell'età acerba della vita: crediamo di soffrire come nessun altro al mondo, ma stiamo soltanto costruendo la più prolifica miniera di ricordi della nostra vita. Scriveteci: Davide (dacasati@rcs.it), Andrea Federica (andreaf.decesco@gmail.com), Roberta (rscorranese@rcs.it) e Renato (rbenedetto@rcs.it).

Con il lutto mi sono sempre comportato come con le torte di compleanno. Mi freno, tengo le lacrime per dopo. Lo stesso contenimento che riservo alle candeline: i più le spengono di getto, con un lungo sbuffo così da togliersi il pensiero. Seguono evviva, auguri, cento di questi giorni! Io invece aspetto, mentre gli altri cominciano a guardarmi con preoccupazione. Ero così fin da piccolo. «Non soffi?», mi chiedevano la mamma, il papà, tutti quanti. Un bambino attonito che fissa le fiammelle contorcersi attorno allo stoppino, sono in numero proporzionale al mio tempo . Quello passato, perlomeno. Tanto, prima o poi , pensavo, si spengono da sole . Ed è a quel punto che il tempo ritorna coniugato al presente, e si colma di pastafrolla e regalini da scartare. Ma torna anche il dolore. Mi accorgo allora solamente adesso che la morte di Olivia Newton-John è stata un autentico lutto per me . Qualcosa - mi riguardava nel profondo - ha smesso di esistere in un luogo mai verificato. Perciò non importa che non ci conoscessimo di persona, nemmeno avevo i suoi poster appesi alle pareti della camera in cui dormo; ora che ci penso, credo di non avere mai ascoltato un suo album per intero. Qualcosa… Credo sia questa la ragione per cui l'ho rivisto solamente ieri sera. Mi riferisco naturalmente a Grease , il film. Come era bella Olivia Newton John in quella pellicola giustamente passata alla storia! Anche qui si sdoppiavano i batticuori: chi la preferiva acqua e sapone nelle sequenze iniziali, chi dopo la conversione in pantera sexy alla festa di fine anno. Io appartengo al primo gruppo. Ma anche Travolta non scherzava: come erano entrambi belli, giovani e belli. Ricordo che mentre stavamo sgusciando dai tendoni di velluto porpora del cinema Pedretti - era l'inizio del 1979, a Sondrio i film venivano proiettati in lieve ritardo rispetto a Milano, dove i miei cugini l'avevano già visto - ancora frastornati dalla scena finale in cui Sandy e Danny si allontano a bordo di una Ford De Luxe convertibile del 1948, Kenickie l'aveva personalizzata per le gare clandestine, e tutti ballano felici cantando we’ll be together, always together con l'inquadratura che fa un dolly e passa in campo lungo dove svetta la ruota panoramica delle giostre e, ancora, we’ll be together, always together quando, all'improvviso, l'auto prende il volo, Sandy si volta e saluta con la mano, mentre tutto ciò accadeva ricordo che qualcuno aveva detto, con il tono di chi la sa più lunga degli altri: «Ma lo sapete, vero, che è una vecchia carampana di trent'anni?». La voce apparteneva a un ragazzo poco più grande di noi, se la tirava perché faceva gare di sci da cui ritornava sempre con delle coppe; lo diceva lui, le coppe non le abbiamo mai viste. Che sciava lo si intuiva dal segno bianco lasciato dagli occhiali da discesa, a disegnare l'equivalente a colori invertiti, come il negativo nelle fotografie analogiche, della maschera da Pulcinella sull'abbronzatura intensa del viso. Capitava ogni tanto al muretto di via Parolo senza essere davvero amico di nessuno. «Trent'anni, ma va' là, non farmi ridere... » gli ribatte un altro che era invece amico di tutti, giocava a rugby. È andata a finire che quasi facevano a botte, un paio di pugni a vuoto sono anche volati nel foyer, è accorsa la maschera per sottrarre lo sciatore alle manone del rugbista. Tutto per non sapere se trent'anni sono tanti oppure pochi. E venti? Se lo chiede anche Francesco De Gregori in una canzone dedicata a Bufalo Bill: avevo pochi anni e vent'anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più. E comunque aveva ragione quello antipatico con la maschera di Pulcinella: Sandy, una studentessa alla Venice High School di Los Angeles, nel film viene ribattezzata Rydell High, se non ha ripetuto delle classi non può avere più di diciotto anni. Ma Olivia Newton John, durante le riprese di Grease, aveva effettivamente trent'anni. Dunque era già vecchia, una carampana insiste lo sciatore guardandosi alle spalle, per controllare che il rugbista non lo ascolti. Macché, era giovanissima, ribatte il me attuale, dopo avere contato le candeline sulla torta che mi attende ad aprile. E va a finire che anch'io rischio di fare a pugni con lo specchio. Per trovare una conciliazione mi faccio allora una domanda: sai darmi un'immagine che, in un solo colpo d'occhio, restituisca la parola gioventù? Una soltanto, mi raccomando! Ed è così che mi sdoppio di nuovo. 1985. Sono ai piedi della Torre di Pisa con il mio amico Guido, anzi il compare Guido, dieci anni dopo sarò il suo testimone di nozze, due Guidi e una scassatissima Mercedes a gpl, parcheggiata poco più in là. Le vacanze, quasi al termine, sono quelle successive alla maturità, da rivivere nelle notti degli anni a seguire in cui ci scappa qualche Ceres di troppo. Come nei film, la pagina del calendario con la scritta agosto vola via per lasciare spazio a settembre, nubi temporalesche si addensano, odore di asfalto bagnato e fichi maturi esposti nei negozi di frutta e verdura. Pochi giorni prima il Mostro di Firenze ha massacrato due turisti francesi a San Casciano Val di Pesa. Perciò abbiamo deciso - non c'è stato bisogno di parlare, la paura è un linguaggio universale e telepatico - di dormire in un parcheggio custodito da reduci della seconda guerra mondiale; soldi per una pensione non ce ne sono più. Il pieno di gpl per fortuna è stato fatto, ci rimangono giusto poche lire con cui acquistare i biglietti per salire sulla Torre. Un gradino dopo l'altro, in tutto 294, ma la fatica della risalita è poca cosa a quell'età, forte la gamba. Quindi spaziare su Piazza dei Miracoli, osservare il Duomo progettato dal Buscheto nel 1063 e terminato dal Rainaldo oltre un secolo dopo, superare con lo sguardo chioschi di souvenir e pullman con targa tedesca, da cui fuoriescono t-shirt Adidas arancioni ad avvolgere, indifferentemente, uomini donne e bambini, che se rubassero una motoretta potrebbero traversare la pineta e raggiungere il mare prima che i capelli si spettinino, senza neppure bisogno di brillantina. Da lì perdersi con l'immaginazione, vagare nel vasto mondo... E però, da una prospettiva più terra terra, scorgiamo all'angolo un'edicola. Oltre la selva delle locandine in cui dominano i macabri dettagli della carneficina di San Casciano, i lazzi del Vernacoliere accanto a una ragazza seminuda (il seno è scoperto ma in testa ha un colbacco) stampata sulla copertina de l'Espresso, in una vetrinetta un po' defilata è esposta una rivista per soli uomini - oggi verrebbe considerata una formula sessista: perché una donna non potrebbe scorrere le immagini di adulti consenzienti che si accoppiano? Il titolo è dimesso e quasi sciatto, ma il sottotitolo eloquente: Cicciolina, assistente sociale per cazzi bisognosi . Che si fa: saliamo sulla Torre o acquistiamo la rivista? La grazia apollinea, immutata nei secoli, si oppone al pungolo dionisiaco della carne, la tarda adolescenza reclama il suo bisogno; serve molto meno di un'assistente sociale, realizziamo. Guido guarda Guido che gli restituisce intatto il dilemma, come un borseggiatore travolto dai sensi di colpa. Non bastano, lo sappiamo bene, i soldi per entrambe le cose. Se a Rimini non fossimo andati sul battello dei pirati, che poi ci è pure venuto da vomitare, te l'avevo detto, e poi la felpa acquistata su via de' Calzaiuoli... E però ormai è fatta, tocca scegliere. Ecco, essere stato giovane significa per me non essere mai salito sulla torre di Pisa . Averla guardata solamente da sotto, come fa Mosè con la Terra Promessa: un immenso membro in erezione che pende di lato verso un desiderio di suolo, senza mai riuscire a soddisfarlo, a persuaderlo scrive Carlo Michelstaedter ne La Persuasione e la Rettorica . Per non rimanere schiacciato dentro a un campo di forze che non gli dava scampo, a ventitré anni si suicidò. Ma c'è chi insinua che anche quello di Sandy sia un destino di morte. È infatti annegata, ci viene suggerito sottovoce; meglio che il rugbista non senta, che lo sciatore indossi i suoi enormi occhiali con le lenti gialle. Danny ha provato a salvarla, e però senza successo. L'unico elemento realistico coincide così con le onde dell'oceano di fronte alla Leo Carrillo State Beach a nord di Malibu. Quelli che seguono sono solamente sogni d'estate strappati alle cuciture, summer dreams ripped at the seams recita la canzone in cui vengono ricordate le felici notti d'estate, summer nights forse mai esistite. Tutto ciò che vediamo - un film alla fin fine, ogni film - è solo uno degli infiniti possibili illuminato dalla fiammella della candela, mentre l'auto di Kenickie conduce l'anima della ragazza in paradiso. Un'interpretazione come un'altra. Se gli diamo credito, la forbice tra Sandy, morta a diciotto anni, e Olivia New John che di anni ne aveva invece settantatré, si allargherebbe ulteriormente: non più dodici ma cinquantacinque anni, quasi la mia età attuale. E di nuovo sono tanti, pochi? In fondo, in quei cinquantacinque anni di incertezza si dischiude il nostro sogno di spettatori. O forse, come vuole una lunga tradizione letteraria, il nostro sogno tout court . A ciascuno la scelta su quale delle due estremità rivolgere l'oscillazione del proprio pendolo, un altro modo per misurare il tempo. Ma per rendersi manifesto il tempo ha bisogno di spazio, ed è qui che le tessere sembrano provvisoriamente ricomporsi: un'unica immagine, un solo corpo avvolto da pantoni neri di pelle e un top di uguale colore. Alla frangetta bionda è subentrata la permanente, ma sempre lunghi i capelli, scivolano sulla schiena resa ancor più ritta dai tacchi a spillo, e intanto con la punta rossa della scarpa, Olivia, Sandy, chi se frega, spegne la sigaretta appena accesa. Uno schianto! È quanto sembra pensare anche Danny, che rimane a bocca aperta; o forse si tratta di John Travolta o meglio ancora tutti e tre, se come giusto mi includo nel consegnarmi senza più riserve a quelle labbra, che si dischiudono per intonare: You’re the one that I want / Oo-oo-oo, honey / The one that I want / Oo-oo-oo, honey / The one that I want / Oo-oo-oo, the one I need /Oh, yes indeed... Ma la sveglia è suonata, e mi accorgo che la Terra Promessa è ancora lì. Un poco sghemba. Protesa verso un desiderio che i minuti sembrano avvicinare, e invece sfugge come si sfugge in sogno dagli assassini. Muovendo all'impazzata gambe che immancabilmente restano ferme.

Illustrazione di Lucia de Marco

- Forse ho qualcosa per te - dice. E tira fuori, da sotto il banco, un album color tempesta che apre nel punto esatto nel quale le immagini sembrano gridare per quanto belle. Fa sempre così, sfruttando ad arte le mie debolezze. C'è sempre qualcuno che sopravvive grazie alle fragilità altrui. La protagonista, questa volta, è una giovane donna. Deve essere ricca e libera, sicuramente è bella. Mi prende per mano e mi conduce negli anni '30. Vedo Milano, Nizza, laghi, feste, levrieri. A un uomo accanto a lei ha tagliato il volto con le forbici, a un altro ha attaccato una faccina da maiale. Ha un costume da bagno aderente e davanti alla cabina sembra ammiccare a qualcuno alle mie spalle. Come chi l'ha preceduta, torna a vivere, anche se non ha un nome. Probabilmente non lo avrà più. Ma esiste. Compro spesso album e scatti singoli, dietro ai quali scrivo improbabili didascalie. Mi piace scrutare quei volti, le città deserte nelle quali si muovono come comparse ricchi in bombetta, commercianti, vecchie dall'aria truce, bambini imbronciati. Giro per mercati, frequento le sempre più rare librerie antiquarie, dove ritrovi quell'odore di acari e carbonella che i nostri figli non sapranno distinguere. E mi piace, nelle foto di gruppo, tentare di ricostruire parentele e affetti seguendo con lo sguardo le linee delle mani che si uniscono, capire perché qualcuno viene sempre lasciato solo, fateci caso, senza neanche un tocco fuggente sulla spalla. Osservo la loro espressione e mi rendo conto che sono tutti morti. Forse, per questo, la ricerca mi appaga. Ho la sensazione di poter ridare loro una memoria che, senza di me, non esisterebbe più. Una sorta di missione, che mi porta a credere di possedere io solo quell'immagine, come un sacerdote che celebra un mistero antico. E se osservi con attenzione puoi scoprire tante cose. Ad esempio, che una volta si era «bambini» sino a sedici anni, ma che poi si poteva entrare nella società civile giovanissimi, mentre ogni accesso, oggi, appare negato. Basti pensare che Sant'Elia e Chiattone, quando hanno rivoluzionato l'architettura proiettandola avanti di mezzo secolo avevano ventuno anni e non erano neanche laureati. E che a ventitré, dopo essere stato uno studente qualsiasi, potevi diventare professore al Bauhaus, la Scuola delle Scuole. Perché i Bauhausler - così venivano chiamati - erano solo ragazzi con i capelli a spazzola che condividevano il sogno di cambiare il mondo. Ragazzi, e per la prima volta ragazze, mai così tante in un'istituzione scolastica, che potevano vivere accanto a personaggi del calibro di Kandinsky, Klee, Gropius. Maestri consacrati, che a loro volta avevano rinunciato a vivere di successo, per insegnare con uno stipendio da fame. Apolidi, contro il sistema, eppure vestiti nel più borghese dei modi, con il panciotto e l'orologio d'oro. E le foto del Bauhaus, quando le vedi, ti conquistano. Cercatele anche voi surfando in rete. Gli studenti appaiono composti durante le lezioni, ammassati sui terrazzini degli atelier, scatenati nel momento della festa. Li vedi ridere, costruire oggetti incomprensibili, pavoneggiarsi sul tetto nascosti dentro ai costumi di Schlemmer. Accomunati dalla paura di non essere abbastanza creativi, consci di trovarsi nel cuore di un vulcano, ignari che quell'energia avrebbe finito, in molti casi, per bruciare le loro stesse esistenze. È sulla scia di quelle immagini che da anni continuavo a fissare (anche con invidia) che, un giorno, anche io sono voluto andare a Dessau compiendo il mio percorso di iniziazione. Per provare a dormire alla Prellerhaus, nelle stanze degli studenti più brillanti, per scoprire come la luce si muove sul soffitto al tramonto, e cosa vedi quando ti svegli. Cosa si prova a tuffarsi nell'Elba, su quella riva dove le immagini ci riportano i loro volti scatenati, mentre giocano a pallone, nella pausa estiva, quando i geni tornavano a essere solo ragazzi, in un mondo che stava per essere travolto dalla follia e dalla guerra. Sino a cercare di immaginare cosa sarebbe successo se un ventenne senza talento, con un passato oscuro e doloroso, si fosse trovato a poter vivere, tra loro, nel luogo simbolo del talento. Ecco, se dovessi suggerire a cosa serve una vecchia foto, direi che aiuta a non dare nulla per scontato. A volte, permette di iniziare un viaggio di scoperta. Entrare nelle immagini significa capire il senso della vita e il suo fluire dissennato. Specchiarsi. Perché, in fondo, nelle foto del passato «gli altri» siamo noi stessi, vestiti in maniera diversa. Una foto non mente mai. Perché nulla è come appare a un occhio distratto. Perché niente è più bugiardo di una foto guardata male. Alfredo Accatino è in libreria con «La linea e l’ombra» (Giunti)